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S. Nicola di Bari Patrono e Protettore di Salemi

S. NICOLA DI BARI
Patrono e Protettore di Salemi

BIOGRAFIA DEL SANTO


La Patria di San Nicola
San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia.
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida.
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.

L'infanzia
Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo un monaco greco (Michele Archimandrita), il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa.
Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro (“S. Nicola nero”). In realtà, Nicola nacque intorno all’anno 260 dopo Cristo a Patara, importante città marittima della Licia, penisola della costa meridionale dell’Asia Minore (oggi Turchia). Nel porto di questa città aveva fatto scalo anche S. Paolo in uno dei suoi viaggi.
Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato “greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa popolo vittorioso, e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita.
Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna), ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo secondo Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara).
Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata.
Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle.

La persecuzione di Diocleziano
Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione. Questa durò un decennio, anche se i momenti di crudeltà si alternarono con momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio a Milano si accordarono sulle sfere di competenza, prendendosi il primo l’occidente, il secondo l’oriente. Essi emanarono anche l’editto che dava libertà di culto ai cristiani. Sei anni dopo (319), in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riaprì la persecuzione contro i cristiani.
Nelle fonti nicolaiane antiche (anteriori al IX secolo) non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara Metodio affrontò coraggiosamente la morte, sembra probabile che anche il nostro Santo abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, non ultima quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti.
Alcuni scrittori, come il Metafraste verso il 980 d.C., specificavano che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano, finendo in carcere. Qui, invece di abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede e a non incensare gli dèi. Il che avrebbe spinto il preside della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Ciò per ovviare al fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro, sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314.
Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altre.

Nicola è eletto vescovo


Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e non esistevano templi cristiani, le comunità che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede, e quelle case venivano chiamate domus ecclesiae, casa della comunità. Per chiesa infatti si intendeva la comunità cristiana. E questa comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi, cioè di quegli anziani addetti alla cura e all’incremento della comunità nella fede e nelle opere. Questi divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee che avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi, e quindi di varare norme che riuscissero utili ai cristiani di una o più province.
Solitamente erano eletti dei presbiteri (sacerdoti), laici che abbandonavano lo stato laicale per consacrarsi al bene della comunità. L’imposizione delle mani da parte dei vescovi dava loro la facoltà di celebrare l’eucarestia, e questo li distingueva dai laici. Non mancano però casi, e Nicola è uno di questi, in cui l’eletto non è un presbitero, ma un laico. Il che non significa che passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato che apriva appunto la via all’episcopato.
In questo contesto ebbe luogo l’elezione di Nicola, che lo scrittore sacro descrive in una cornice che ha del miracoloso. Essendo morto il vescovo di Mira, i vescovi dei dintorni si erano riuniti in una domus ecclesiae per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Quella stessa notte uno di loro ebbe in sogno una rivelazione: avrebbero dovuto eleggere un giovane che per primo all’alba sarebbe entrato in chiesa. Il suo nome era Nicola. Ascoltando questa visione i vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e, durante la notte, continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione gli si avvicinò e chiestogli come si chiamasse, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli astanti. Tutti furono concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante vescovo di Mira.
L’episodio forse avvenne diversamente, anche perché, come si è detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo. Ma l’agiografo, vissuto in un’epoca in cui i vescovi avevano un potere più autonomo rispetto al laicato, narrando così l’episodio intendeva esprimere due concetti: Nicola fu fatto vescovo da laico e la sua elezione era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della volontà di Dio.

La dote alle fanciulle
Carità e castità sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita. Anzi, a questo episodio si sono ispirati gli artisti, specialmente occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza il nostro Santo. Quando si vede, infatti, una statua o un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità è facile sbagliare sul chi sia quel santo (Biagio, Basilio, Gregorio, Ambrogio, Agostino, e così via). Ed effettivamente anche in libri di alta qualità artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di S. Nicola ha però un segno infallibile per capire se si tratta di S. Nicola o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano o ai suoi piedi tre palle d’oro è sicuramente S. Nicola, e non può essere in alcun modo un altro Santo. Le tre palle d’oro sono infatti una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro di questa storia.
L’episodio si svolge a Mira, città marittima ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola con i suoi genitori si era trasferito. Secondo alcune versioni i suoi genitori erano morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola dipendeva ancora da loro. Quale che sia la verità, alle sue orecchie giunse voce che una famiglia stava attraversando un brutto momento. Un signore, caduto in grave miseria, disperando di poter offrire alle figlie un decoroso matrimonio, aveva loro insinuato l’idea di prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al matrimonio.
Alla notizia di un tale proposito, Nicola decise di intervenire, e di farlo secondo il consiglio evangelico: non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte. Avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che raccolse il denaro e con esso organizzò il matrimonio della figlia maggiore.
Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola volle ripetere il gesto. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle. Preso dalla curiosità aveva cercato invano, uscendo dalla casa, di individuare il benefattore. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola aveva gettato attraverso la finestra, poté fare realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice matrimonio.
Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, nei giorni successivi il padre cercò di dormire con un occhio solo. Non voleva che colui che aveva salvato il suo onore restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, ecco il rumore del terzo sacchetto che, cadendo a terra, faceva il classico rumore tintinnante delle monete. Nonostante che il giovane si allontanasse rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma. Avendolo rincorso, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. Il padre promise, ma a giudicare dagli avvenimenti successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. E la fama di Nicola come uomo di grande carità si diffuse ancor più nella città di Mira.San Nicola è uno dei santi più venerati ed amati al mondo. Egli è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Tra il X e il XIII secolo non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a universalità e vivacità di culto.
Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie. Egli è anche il protettore delle fanciulle che si avviano al matrimonio e dei marinai, mentre l’ancor più celebre suo patrocinio sui bambini è noto soprattutto in Occidente.

Nicola salva tre innocenti
Tutti gli episodi sinora narrati hanno subìto l’incuria del tempo. Essi venivano narrati dai miresi e da nonni a nipoti giunsero fino all’VIII-IX secolo. Il lungo travaglio orale fece loro perdere i connotati della “storia” per apparire piuttosto come “tradizione” o come “leggenda”. I nomi dei protagonisti delle vicende si perdettero quasi del tutto. E’ vero che in tante Vite di S. Nicola si trovano i nomi dei genitori, dello zio archimandrita, del suo predecessore sulla cattedra di Mira, del nocchiero che l’avrebbe condotto in pellegrinaggio in Egitto e in Terra Santa, e così via. Ma si tratta di nomi che nulla hanno a che fare col nostro Nicola. Bisogna rassegnarsi alla realtà che, ad eccezione del concilio di Nicea e del vescovo Teognide, nessun nome compare nella vita del nostro Santo prima della storia dei tre innocenti salvati dalla decapitazione.
Questa storia, insieme a quella successiva dei generali bizantini (Praxis de stratelatis), è il pezzo forte di tutta la vicenda nicolaiana. Nell’antichità, per esprimere il concetto che questa narrazione era la più importante di tutte quelle che riguardavano S. Nicola, spesso non veniva indicata come Praxis de stratelatis (racconto intorno ai generali) ma semplicemente come Praxis tou agiou Nikolaou (storia di S. Nicola), quasi che tutti gli altri racconti non rivestissero alcuna importanza a paragone con questo.
In occasione della sosta di alcune navi militari nel porto di Mira, nel vicino mercato di Placoma scoppiarono dei tafferugli, in parte provocati proprio dalla soldataglia che sfogava così la tensione di una vita di asperità. In quei disordini le forze dell’ordine catturarono tre cittadini miresi, i quali dopo un processo sommario furono condannati a morte. Nicola si trovava in quel momento a colloquio con i generali dell’esercito Nepoziano, Urso ed Erpilio, i quali gli stavano dicendo della loro imminente missione militare contro i Taifali, una tribù gotica che stava suscitando una rivolta in Frigia. Invitati da S. Nicola, i generali riuscirono a fare riportare l’ordine. Ma ecco che alcuni cittadini accorsero dal vescovo, riferendogli che il preside Eustazio aveva condannato a morte quei tre innocenti.
Seguito dai generali, Nicola prese il cammino per Mira. Giunto al luogo detto Leone, incontrò alcuni che gli dissero che i condannati erano nel luogo detto Dioscuri. Nicola procedette così fino alla chiesa dei santi martiri Crescente e Dioscoride. Qui apprese che i condannati erano già stati portati a Berra, il luogo ove solitamente venivano messi a morte i condannati. Ben sapendo che solo lui, in quanto vescovo, avrebbe potuto fermare il carnefice, accelerò il passo e vi giunse, aprendosi la strada fra la folla che faceva da spettatrice. Il carnefice era già pronto, e i condannati stavano già col collo sui ceppi, quando Nicola si avvicinò e tolse la spada al carnefice.
Avendo liberato gli innocenti dalla decapitazione, Nicola si recò al palazzo del preside Eustazio, entrandovi senza farsi annunciare. Giunto dinanzi al preside l’apostrofò accusandolo di ingiustizie, violenze e corruzione. Quando minacciò di riferire la cosa all’imperatore, Eustazio rispose che era stato indotto in errore da due notabili di Mira, Simonide ed Eudossio. Ma Nicola, senza contestare il particolare, gli rinfacciò nuovamente la corruzione e, giocando sulle parole, gli disse che non Simonide ed Eudossio, ma Crisaffio (oro) e Argiro (argento) l’avevano corrotto. Avendo così ristabilita la verità e la giustizia, Nicola non infierì ma perdonò al preside pentito.

L'eretico Teognide
Il silenzio degli antichi scrittori sul ruolo di Nicola a quel concilio si spiega forse col fatto che Nicola ebbe un atteggiamento diverso da quello del capo del partito cattolico ortodosso, Atanasio di Alessandria. Pur avendo un carattere altrettanto energico, Nicola era più sensibile alla ricomposizione dell’armonia nella Chiesa. Non si fermava come Atanasio alla difesa ad oltranza delle fede, ma tentava anche tutte le vie per riportare gli erranti (eretici) nel grembo della Chiesa. Un atteggiamento che dovette apparire ad Atanasio come troppo incline al compromesso, e di conseguenza non degno di essere ricordato fra i difensori della fede. Questa “damnatio memoriae” da parte di Atanasio (che pure menziona molti vescovi) si spiega anche col fatto che quasi certamente Nicola militava politicamente nel “partito” opposto. Mentre infatti Atanasio parla di Ablavio, prefetto di Costantino, come “amato da Dio”, l’antico biografo di Nicola lo definisce “perverso e malvagio” (come ritiene anche il grande storico Eusebio di Cesarea e tutti gli storici pagani). Né la cosa deve sorprendere più di tanto. Anche oggi infatti persone degnissime militano politicamente su versanti opposti.
Che in S. Nicola si incontrassero il grande amore per la retta fede col grande amore dell’armonia nella Chiesa, è testimone S. Andrea di Creta, il quale scrive: Come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora vescovo della Chiesa dei Marcianisti. La disputa procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una sia pur minima asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo dicendo: “Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira”.
Nonostante il riferimento ai Marcianisti (talvolta è scritto Marcioniti), il vescovo Teognide è quasi certamente il vescovo di Nicea al tempo del Concilio di cui si è parlato. Simpatizzante dell’eretico Ario, Teognide si lasciò tuttavia convincere e alla fine firmò gli atti del concilio. Quasi certamente Nicola si era messo in contatto con lui già in precedenza e dovette avere un certo ruolo nel farlo decidere a firmare gli atti. In realtà Teognide successivamente non mutò atteggiamento verso Atanasio, che continuò ad avversare decisamente. Dopo un esilio di tre anni in Gallia, al ritorno continuò a criticare il termine “consustanziale” col quale Atanasio e la Chiesa definivano il rapporto fra Padre e Figlio. Nel 336 contribuì a fare esiliare S. Atanasio.
Come si può vedere, l’antichità cristiana non fa eccezione. Anche all’interno di sostenitori della retta fede si formarono “partiti” diversi. Il che comportò persino giudizi contrapposti sul piano della spiritualità. E’ il caso di Teognide, da S. Andrea di Creta ritenuto di “santa memoria”, da altri pur sempre un eretico. Ed è il caso di Teodoreto (storico della Chiesa), dalla chiesa greca considerato un eresiarca, dalla russa un “beato” (blažennyj). Ed è pure il caso del patriarca Anastasio (729-752), dalla chiesa latina ritenuto un iconoclasta, da quella greca “di santa memoria” perché pentito, dopo essere stato salvato proprio da S. Nicola dall’annegamento.

Il tempio di Diana
Costantino aveva lasciato libertà di culto ai pagani, tuttavia è chiaro che almeno a partire dal 318, coi poteri giurisdizionali ai vescovi, i cristiani ebbero uno spazio privilegiato all’interno dell’impero. Non pochi vescovi, e sembra che Nicola sia stato fra di essi, si impegnarono per quanto possibile a cancellare dalle loro città i segni della religione pagana fino ad abbattere alcuni templi. La tradizione ci fa vedere Nicola impegnato in tal senso. Andrea di Creta nel suo celebre Encomio di S. Nicola, rivolgendosi al nostro Santo esclama: Hai dissodato, infatti, i campi spirituali di tutta la provincia della Licia, estirpando le spine dell’incredulità. Con i tuoi insegnamenti hai abbattuto altari di idoli e luoghi di culto di dèmoni abominevoli e al loro posto hai eretto chiese a Cristo. Pur rimanendo molto vicino al testo di Andrea, Michele Archimandrita, “concretizzava” l’opera di Nicola facendo riferimento non alle armi della parola e dell’insegnamento, ma a vere e proprie spranghe di ferro per abbattere il tempio di Diana, che si ergeva imponente. Era questo il maggiore di tutti i templi sia per altezza che per varietà di decorazioni, oltre che per presenza di demoni.
Che Michele Archimandrita si fosse documentato su fonti miresi dirette è dimostrato proprio da queste sue parole. Se non avesse fatto ricorso a tali documenti difficilmente avrebbe potuto sapere di questo ruolo preminente del tempio di Diana. Dopo recenti scavi archeologici è risultato infatti che nel 141 questo tempio era stato restaurato ed ampliato dal mecenate licio Opramoas di Rodiapoli. Una conferma, questa, che quanto dice il monaco Michele riflette i racconti che si narravano a Mira nell’VIII secolo.
E’ probabile che la verità sia quella di Andrea di Creta, che ci mostra un Nicola che abbatte il paganesimo con le armi della parola. Tuttavia, a giudicare dal carattere energico del vescovo di Mira (dimostrato in altre occasioni), non è impossibile che sia avvenuto secondo il racconto dell’Archimandrita. Ciò che li accomuna, ed era una credenza molto diffusa a livello popolare, è il particolare dei demoni che abitavano in questi templi pagani, per cui quando questi venivano demoliti, i demoni venivano a trovarsi senza un tetto ed erano costretti a cercarsi altre dimore.

Carestia e grano
Il santo vescovo era impegnato però non soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della fede era seguita dalla messa in pratica della carità.
Al tempo del suo episcopato mirese scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione. Pare che Nicola prendesse varie iniziative per sovvenire ai bisogni del suo gregge, e l’eco di queste attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano, ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano.Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto fecero sosta nel porto di Mira. Nicola accorse e, salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso. Se fosse stato notato l’ammanco avrebbe potuto passare i guai suoi. Nicola gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità, e alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi “alessandrine”, queste giunsero a Costantinopoli e, come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso. Quale non fu la sua gioia e meraviglia quando vide che il peso non era affatto diminuito, ma era risultato lo stesso della partenza delle navi da Alessandria.
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola. A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella.

I generali liberati dalla prigione
Edificati dal comportamento del santo vescovo, tre generali ripresero il mare e raggiunsero la Frigia, ove riuscirono a sottomettere le forze ribelli all’impero. Un po’ per il successo dell’impresa un po’ perché Nepoziano era parente dell’imperatore, il loro ritorno a Costantinopoli avvenne in un’atmosfera di vero e proprio trionfo. Tuttavia la gloria e gli onori durarono poco, perché queste sono spesso accompagnate da gelosie ed invidie.
Gli agiografi parlano di malevoli suggerimenti del diavolo, certo è che ben presto si formò un partito avverso a Nepoziano e compagni. I componenti di questo partito riuscirono a coinvolgere il potente prefetto Ablavio, il quale convinse l’imperatore che i tre generali stavano complottando per rovesciarlo dal trono. Convinto o meno dell’attendibilità della notizia, Costantino preferì non correre rischi, e li fece mettere in prigione. Dopo alcuni mesi i seguaci di Nepoziano si stavano organizzando su come liberare i generali. Per cui i loro avversari, col denaro promesso a suo tempo, tornarono da Ablavio e lo convinsero a suggerire all’imperatore un provvedimento più drastico. Infatti, Costantino diede ordine di sopprimerli quella notte stessa.
Appresa la notizia, il carceriere Ilarione corse ad avvertire i generali, che furono presi da grande angoscia. Sentendosi prossimo alla morte, Nepoziano si sovvenne dell’intervento in extremis del vescovo Nicola a favore dei tre innocenti. Allora levò al Signore questa preghiera: Signore, Dio del tuo servo Nicola, abbi compassione di noi, grazie alla tua misericordia e all’intercessione del tuo servo Nicola. Come, per i suoi meriti, hai avuto compassione dei tre uomini condannati ingiustamente salvandoli da sicura morte, così ora rida’ la vita anche a noi, mosso a misericordia dall’intercessione di questo santo vescovo.
Il Signore esaudì la preghiera di Nepoziano, fatta propria dai compagni. Quella notte S. Nicola apparve in sogno all’imperatore minacciandolo: Costantino, alzati e libera i tre generali che tieni in prigione, poiché vi furono rinchiusi ingiustamente. Se non fai come ho detto, conferirò con Cristo, il re dei re, e susciterò una guerra e darò in pasto i tuoi resti a fiere ed avvoltoi. Spaventato, Costantino chiese chi fosse: Sono Nicola, vescovo peccatore, e risiedo a Mira, metropoli della Licia.
Nicola apparve minaccioso anche ad Ablavio, e quando l’imperatore lo mandò a chiamare, entrambi pensarono ad un’opera di magia. Mandarono a prendere i tre generali per chiedere spiegazioni. Il colloquio aveva preso il binario della “magia”, quando Costantino chiese a Nepoziano se conoscesse un tale di nome Nicola. Nepoziano si illuminò, accorgendosi che la sua preghiera era stata esaudita. E narrò tutto all’imperatore, che seduta stante ne ordinò la liberazione. Anzi, volle che andassero a Mira a ringraziare il santo vescovo ed a portargli da parte sua preziosi doni, fra cui un Vangelo tutto decorato d’oro e candelieri ugualmente d’oro. Altri autori aggiungono che giunti a Mira si tagliarono i capelli in segno di gratitudine e di devozione verso il Santo.

La riduzione delle tasse
E’ difficile dire quanto ci sia di vero e quanto sia stato il parto della fantasia di un popolo consapevole di aver avuto un “progenitore” ed un difensore. Per i Miresi Nicola era colui che aveva riportato la retta fede, la giustizia ed il benessere alla loro città. Non per nulla, secondo la testimonianza sia della Vita Nicolai Sionitae sia dell’Encomio di Andrea di Creta, essi istituirono la festa delle “rosalie del nostro progenitore S. Nicola”.
Fra le tante iniziative del Santo a favore della popolazione, intorno al VII secolo si narrava il suo intervento per fare ridurre le tasse per i Miresi (Praxis de tributo).
E’ nota a diversi storici la tendenza di Costantino a gravare le popolazioni dell’impero con tasse esorbitanti. Ed anche se i cristiani cercavano delle attenuanti, i pagani come Zosimo ricordavano che Costantino era costretto a una pesante politica tributaria a causa della sua eccessiva prodigalità. L’anonimo scrittore che compose l’Epitome de Caesaribus descriveva così la sua politica tributaria: Per dieci anni eccellente, nei dodici anni successivi predone, negli ultimi dieci fu chiamato pupillo per le eccessive prodigalità.
Quando anche la città di Mira si trovò a dover pagare tasse esorbitanti, i rappresentanti del popolo si rivolsero a Nicola affinché scrivesse all’imperatore. Nicola fece di più. Partì alla volta di Costantinopoli e chiese udienza. L’anonimo scrittore qui si lascia prendere la mano e, non tenendo conto che Nicola era vissuto al tempo di Costantino, immagina i vescovi della capitale che gli rendono omaggio riunendosi nel tempio della Madre di Dio alle Blacherne, chiedendogli la benedizione. A parte l’esagerazione di una simile accoglienza, quel tempio sarebbe stato costruito un secolo dopo la morte del Santo.
L’abbellimento agiografico si nota anche al momento dell’arrivo di Costantino. Prima che cominciasse il colloquio, l’imperatore gettò il suo mantello ed ecco che questo, incrociando un raggio di sole, rimase sospeso ad esso. Il prodigio rese timoroso e benevolo l’imperatore. Quando Nicola gli riferì come i Miresi fossero oppressi dalle tasse, chiedendogli di apportare una sensibile riduzione, l’imperatore chiamò il notaio ed archivista Teodosio, e secondo il desiderio di Nicola operò una netta riduzione a soli cento denari.
Nicola prese la carta su cui era registrata questa concessione e legatala ad una canna, la gettò in mare. Per volere di Dio la canna giunse nel porto di Mira e pervenne nelle mani dei funzionari del fisco, i quali furono molto sorpresi ma si adeguarono. Intanto però a Costantinopoli i consiglieri di Costantino fecero notare all’imperatore che forse la concessione era stata un tantino esagerata. Per cui l’imperatore chiamò nuovamente Nicola per correggere la somma della tassa che i Miresi dovevano pagare. Il Santo gli rispose che da tre giorni la carta era pervenuta a Mira. Essendo ciò impossibile, Costantino promise che se le cose stavano veramente così avrebbe confermato la precedente concessione. I nunzi, da lui inviati per verificare quel che era accaduto, tornarono e riferirono che Nicola aveva detto la verità. Mantenendo la promessa, l’imperatore confermò la concessione.

Il Concilio di Nicea
L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa con simili provvedimenti si rafforzava nella società pagana, ecco che un’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio (se uguale o inferiore a quella del Padre) suscitò una polemica tale da spaccare l’impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di S. Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò la grande assemblea (concilio) a Nicea nel 325.
Data l’ubicazione in Asia Minore ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il 515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz).
Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge a Nicola con queste parole: O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede (kanòna pìsteos) e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima.
Questa antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola al concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea suppliscono alcune leggende, la più nota delle quali (attribuita in verità anche a S. Spiridione) è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio se anche Cristo era Dio. Considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, Nicola si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre enti in uno solo. Preso un mattone, ricordò agli astanti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco. Il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non intaccava la verità fondamentale che Dio è uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca.
Ancor più nota a livello popolare è la leggenda dello schiaffo ad Ario, legata all’usanza dei pittori di raffigurare agli angoli in alto il Cristo e la Vergine in atto di dare l’uno il vangelo l’altra la stola. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Essendo stata riferita la cosa a Costantino, l’imperatore ne ordinò la carcerazione, mentre i vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. I carcerieri dal canto loro lo insultavano e beffeggiavano in vari modi. Uno di loro giunse anche a bruciargli la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o omophorion (segno del ministero sacramentale). Quando andò per celebrare la messa, indotto da spirito di umiltà, Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili, ma alle prime sue parole ecco scendere dal cielo la vergine con la stola e degli angeli con la mitra. Ed appena terminata la celebrazione ecco rispuntargli folta la barba che la notte precedente i carcerieri gli avevano bruciata.
Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché, a parte la sua presenza in quel concilio (sull’autorità di Teodoro il Lettore ed alcune liste del VII-VIII secolo), non si sa nulla di ciò che fece Nicola a quel concilio. Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia, altrimenti la liturgia non l’avrebbe chiamato regola di fede.

La morte del Santo
Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del concilio di Nicea, con ogni probabilità il nostro Santo morì in un anno molto prossimo al 335 dopo Cristo. Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa alcunché. Gli episodi e i particolari che si leggono in alcune Vite non riguardano il nostro Nicola, ma un santo monaco vissuto due secoli dopo nella stessa regione.

Traslazione delle reliquie
Nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi nel contesto di un programma di rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di un santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e quindi fonte di benessere economico.

(Testi e alcune immagini sono dal sito della Basilica di S. Nicola http://www.basilicasannicola.it/)

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S. NICOLA E SALEMI

L’ELEZIONE DEL PATRONO


Il padre gesuita Giuseppe Stanislao Cremona è l’unico storico che ci ha lasciato un’opera che narra la storia di Salemi, dalle origini fino al '700, epoca in cui visse l’autore. Il metodo d’illustrazione del Cremona lascia molti perplessi perché cade, molto spesso, in errori.
La storia, che questo autore ci ha tramandato, racconta che la scelta di S. NICOLA come patrono di Salemi è da legare a un periodo triste del paese.
Le soldatesche di Carlo D’Angiò, di ritorno dalla spedizione di Tunisi, sbarcate a Trapani, divulgarono il morbo per tutto il territorio circostante e soprattutto in quello di Salemi. Il Cremona ci descrive questo momento: “… non restando per essa vivi dei suoi abitanti, se non pochissimi, ed alcuni altri si salvarono con la fuga, ricoverandosi in altre città, onde nacque, come s’accenno il detto quasi come proverbio in Sicilia quando si vuole parlare di qualche grave calamità, cagione di grave mortalità: Eh ch’è la peste di Salemi! ”.
Narra che la peste ebbe fine per intercessione della Vergine del Rosario, portata in processione dai pochi salemitani superstiti, da Calatafimi a Salemi e collocata nella Chiesa in P.za Alicia.
Intanto la casa D’Angiò lascia il passo a quella Aragonese. I salemitani, ricostruita la loro città semi distrutta dalle guerre tra Angioini ed Aragonesi combattute nel loro territorio, timorosi che un altro tremendo flagello venisse a turbare la loro tranquillità e potesse in qualche modo danneggiare i raccolti di una delle terre più fertili della Sicilia Occidentale, circa l’anno 1290 avanzarono al Santo Padre Nicolò IV l’umile richiesta di un Santo patrono e protettore della loro città, così come ne godevano già alcune città del regno come Siracusa, Catania, Palermo.
La richiesta venne accolta, ma il Papa volle che fosse la stessa città a sceglierlo. I salemitani, per non dar luogo ad inopportune preferenze, decisero di tirare a sorte il nome del santo. Scrissero infatti su pezzetti di carta i nomi di molti santi, li deposero in una piccola scatola e decisero che il primo nome del santo estratto sarebbe stato quello del loro Patrono.
Alla presenza dei giurati del tempo fu estratto il nome di S. NICOLA di BARI, forse delusi di questa scelta ripeterono l’operazione e per altre due volte sempre venne fuori il nome del glorioso Vescovo di Mira.
Allora la scelta di SAN NICOLA a patrono di Salemi, così come ci è giunta per tradizione orale tramandata da padre in figlio, fu accolta con gioia da parte dei Salemitani. A SAN NICOLA, nel 1340, fu dedicato il Duomo e in un altare, forse in sostituzione di un’antica icona, successivamente venne collocata una statua marmorea del Santo.


(testo dal libro “S. Nicola di Bari, patrono di Salemi” di Luigi Caradonna Favara)


PERCHE' SI SCELSE S. NICOLA COME PATRONO DI SALEMI ?


Storia della diffusione del culto nell'Italia meridionale

Il culto di S. Nicola a Napoli è anteriore allo stesso Giovanni Diacono (880 circa), in quanto il nome del Santo figura già nel calendario marmoreo che è datato fra l'821 e l'841. Rimanendo in Campania va ricordato che nel 1043 già esisteva il monastero «S. Nicolai de Gallucanta» nei pressi di Amalfi e nel 1045 una chiesa a Nocera, presso Salerno.
Per comprendere la vivacità del culto in Campania basti ricordare che è qui che nasce la prima Vita del Santo in latino, e che si avverte un po' ovunque la necessità di altre notizie. A questa esigenza rispose il monaco Giovanni di Amalfi verso il 950 con tre nuovi episodi riportati nel suo Liber de miraculis. Il 6 dicembre a Benevento al tempo di Dacomario (1080 circa) già si faceva la festa e venivano anche dai dintorni, come testimonia il documento coevo Adventus S. Nicolai in Beneventum.
Il primato di antichità di chiese di S. Nicola in Italia, spetta forse alla Sicilia. Sembra infatti che in quest'isola, dove la civiltà greca ha avuto una maggiore continuità, uno dei quattro monasteri greci noti per il VII secolo fosse dedicato proprio a S. Nicola. Nell’VIII secolo c'era un monastero presso Siracusa. Né va dimenticato che nel IX secolo furono due siciliani (Metodio di Siracusa e Giuseppe Innografo) a produrre opere notevoli della letteratura nicolaiana.
La chiesa più bella della Sicilia dedicata a S. Nicola è certamente quella di Agrigento, nella Valle dei Templi. Adiacente al Museo Nazionale Archeologico, risale al XII-XIII secolo e costituisce l'ultimo intervento costruttivo nella Valle dei Templi. Donata nel 1219 ai Cistercensi, subì non pochi rifacimenti nel 1430. La facciata è semplice e maestosa, anche se le dimensioni non sono considerevoli. E’ costruita con quello stesso tufo di colore oro giallo rossastro che caratterizza tutti gli antichi templi agrigentini.
Un capolavoro doveva essere anche la chiesa che si trovava nella zona archeologica di Siracusa. Costruita nell'XI secolo su una piscina romana, della chiesa originaria resta soltanto l'abside in un edificio che ospita la Soprintendenza ai monumenti.
Tra gli altri luoghi nicolaiani è opportuno ricordare Noto, con la sua bella cattedrale (che recentemente ha subìto drammatiche vicissitudini), Cammarata (la chiesa ha un imponente portone di bronzo), Ganzirri, Zaffaria (la cui antica chiesa fu distrutta nel terremoto del 1908), Isnello.
Forse fu dalla Sicilia che il culto di S. Nicola passò a Malta. Qui, nella chiesa di Siggiewi, si celebra una festa che vede una grande partecipazione popolare.
Nella geografia del culto nicolaiano un posto particolare occupa la Calabria, anche se quanto alle origini non è sempre facile distinguere tale culto fra Sicilia e Calabria, poiché molti monaci dall’isola fuggirono in Calabria a causa della conquista araba. Calabrese era comunque quel S. Bartolomeo juniore (981-1055), che come tanti suoi conterranei compose un bellissimo inno in onore del Santo. E calabrese era il monaco Gregorio di Cerchiara, fondatore verso il 1000 del famoso monastero tedesco di Burtscheid, ove si conserva un'antica icona-mosaico di S. Nicola.
Da varie pubblicazioni e trascrizioni di antichi codici del territorio reggino (a cura di studiosi come il Guillou) si evince un gran numero di chiese bizantine di S. Nicola. Una menzione speciale merita la cattedrale di Mileto che, anticamente dedicata alla Vergine, fu per volere del conte Ruggero dedicata anche a S. Nicola che proprio in quegli anni era stato portato a Bari.
Anche le origini del culto in Basilicata si connettono alla diffusione del monachesimo greco. Tra i monasteri documentati più antichi vanno ricordati il S. Nicola di Tripa, nella regione del Latiniano (1050 c.) e quello di Cir-Zosimo dove il 17 gennaio del 1050 si tenne un'assemblea per eseguire le volontà testamentarie del catecumeno Teodoro. Altre chiese antiche sono quelle di Colobràro (XI secolo), Lagonegro (XII), Rapolla (XIV), Tolve (XIV), Missanello (XV).
Molti pensano che il culto in Puglia sia stato fra i più antichi e consistenti. In realtà le testimonianze pugliesi sono più tarde di quelle siciliane, calabresi e napoletane. I primi riferimenti a chiese risalgono alla prima metà dell'XI secolo, con Taranto (già esistente nel 1029), Bari (fondata nel 1026), quindi Brindisi (già nel 1054), Monopoli (1059) e Troia (1067). Naturalmente la traslazione a Bari ravvivò il culto già esistente. Si ebbero così chiese del Santo a Terlizzi (1102), Barletta (1102), Andria (1120), S. Agata di Puglia (1092), Orsara di Puglia (1127), Salpi (1148). Da notare che, come a Bari, anche a Troia (Foggia) le chiese del Santo erano numerose.
Alcuni monasteri ebbero una gloriosa storia, come ad esempio quello greco di S. Nicola di Casole, presso Otranto (Lecce), fondato nell’XI secolo e di cui restano solo i ruderi (ma è stato pubblicato il Typikon conservato a Torino), e quello benedettino dei Ss. Nicolò e Cataldo in Lecce, fondato dal conte Tancredi di Lecce (1179).
Molto attiva, ma in epoca più tarda, fu la chiesa matrice di Torremaggiore (Foggia), che non va identificata con la chiesa benedettina del XII secolo esistente nella zona. Una menzione merita, per la sua bella facciata rinascimentale, anche la chiesa di S. Nicola di Squinzano (Lecce). Ma ciò che dà l'idea della diffusione del culto nel Medioevo è, come per la Basilicata, la grande frequenza dell'immagine del Santo nelle chiese rupestri sparse per tutta la Puglia e che furono abitate e frequentate per lo più dal XII al XV secolo.
Il culto oggi in Puglia non è molto vivo, anche se si notano segni di ripresa. La maggior parte delle manifestazioni nícolaiane vedono come protagonisti i pellegrini provenienti dall'Abruzzo e Molise e dalla Campania.

(testi dalla pagina web del sito della Basilica di S. Nicola: http://www.basilicasannicola.it/home/index.php?lingua_id=1 )



Notizie sul culto del Santo in Salemi


Secondo la storia, tramandata dai nostri padri, la scelta del nostro Patrono avvenne attraverso un sorteggio e tra i tanti nomi di santi, che i salemitani del XIII - XIV sec. scrissero in pezzetti di carta, venne tirato a sorte, per ben tre volte consecutive, il nome di SAN NICOLA.
In quel tempo i salemitani, incerti e timorosi per la scelta di un loro patrono, forse vollero tirare in sorte vari nomi di santi, i quali erano conosciuti nel loro territorio.
In questo periodo storico (XIII - XIV sec.) a Salemi era molto diffusa la devozione alla Madonna (Madonna di Badaluque di tradizione Spagnola). Pertanto sarebbe stato comprensibile scegliere come patronato quello della Vergine Maria.
Un’altra considerazione da fare è che in Salemi, con molta probabilità già nel XIII sec., esisteva una chiesa, oggi di S. Agostino, dedicata agli Apostoli Filippo e Giacomo, e nella parte bassa della città sorgeva quella di S. Stefano. Questo ci testimonia che a Salemi doveva essere presente la devozione verso questi santi.
Non abbiamo nessuna testimonianza che possa comunicarci come sia arrivato il culto di S. Nicola di Bari a Salemi, pur essendo presente in quasi tutto il territorio diocesano (Mazara, Gibellina, Poggioreale, Marsala).
Il commercio, che girava nel territorio di Salemi e nei porti delle vicine città, e l'economia delle merci possono darci una risposta a questa domanda. Fin dall’antichità i marinai e i commercianti hanno avuto come personale protettore il Santo di Mira ed è possibile che la devozione verso questo loro Santo si sia diffusa in questi territori, dove il commercio delle merci girava e con le merci giravano notizie, soprattutto in Salemi, per la sua posizione centrale nel territorio, meta di molte carovane e zona di passaggio per altri paesi.Nel XIII- XIV sec. i salemitani conoscevano S. Nicola di Bari e lo vollero inserire tra i santi che dovevano essere tirati a sorte. La tradizione orale ci tramanda che alla prima uscita del pezzetto di carta, il nome di Nicola non rese felici i salemitani e vollero riprovare per altre due volte.
Tante volte Salemi è stata salvata dal suo Patrono. Tante volte Egli ha rivolto i suoi occhi sul nostro popolo che lo ha invocato nelle epidemie, nelle guerre, nei terremoti e nelle carestie e tante volte, dalle antiche porte delle nostra città, ha scacciato i potenziali nemici che la insidiavano.Del culto devozionale verso S. Nicola, dalla data della proclamazione a Santo Patrono fino al '700, poco resta. L’archivio storico della nostra città è stato distrutto per il 90%, mentre l’archivio della Diocesi di Mazara comincia ad essere completo nella documentazione dal 1500 in poi. Le poche notizie che sono giunte sino ai nostri giorni riguardano il periodo storico dell'evo moderno.

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LE TRADIZIONI E LE FESTE
DI S. NICOLA


I sette mercoledì: Forse inizialmente era diffusa l’usanza di celebrare i sette mercoledì, antecedenti la sua festa, che iniziavano nella seconda quindicina di ottobre e si protraevano fino al 6 dicembre. Oggi se ne è persa l’usanza.

Le Reliquie: Nel 1620 il nostro concittadino Santoro Pecorella, Vicario Generale del T.O.F, si interessò di inviare a Salemi molte reliquie di S. Nicola, tra cui quella che venne incastonata in un braccio benedicente in argento.

Coronella a S. Nicola: Nel 1866 l’Arciprete Don Leonardo Salvo Oliveri, fece stampare a Catania una “Coronella” in onore del Santo. Questa pubblicazione era composta da nove preghiere: con la prima si domandava l’astinenza, con la seconda la purezza, con la terza l’umiltà, con la quarta la penitenza, con la quinta la pazienza, con la sesta la perseveranza, con la settima l’obbedienza, con l’ottava il dono dell’orazione ed infine con la nona la carità. Fino a qualche decennio fa venivano recitati dalle donne anziane di Salemi ed intercalate nelle loro preghiere.

L’episodio del cotone sulla tomba del Santo a Bari: Oggi quell’ampolla è conservata nel tesoro della Basilica e rappresenta un vincolo ideale tra Salemi ed il suo Patrono. In occasione del IX° centenario della traslazione, la parrocchia Chiesa Madre, guidata dall’amministratore Don Giuseppe Maniscalco, organizzò il 17 maggio 1987 un pellegrinaggio a Bari sulla tomba del Santo. Dopo aver celebrato la santa messa sulla tomba del Santo, Don Maniscalco cosparse con un batuffolo di cotone, inzuppato di olio profumato, la lastra di marmo che ricopre le ossa del Santo e con grande stupore della gente e del Rettore della Basilica l’olio era stato assorbito completamente dal marmo, materiale per nulla poroso.
Questo episodio non può non essere interpretato come il gradimento da parte del Santo dell’offerta di quell’olio che proveniva da una città che l’ha invocato sempre.

Tradizioni contadine: Anche durante la trebbiatura (la cacciata), che fino a 50-60 anni fa si eseguiva nell' aie con l’ausilio dei buoi, il contadino invocava il Santo Patrono: “Santa Nicola beddu lu nomu e bedda la parola”.

L’Insegne Collegiata: Il culto di S. Nicola ebbe un nuovo fervore quando venne eretta l’insegne collegiata con la bolla emanata dal Papa Pio VII il 31 Maggio 1801. I vespri solenni che venivano celebrati in onore di S. Nicola, nello stupendo coro ligneo sono rimasti celebri nella storia ecclesiale di Salemi.


La fiera: Nell’anniversario della dedicazione della Chiesa Madre a S. Nicola i cittadini, rappresentati dai sindaci Ughetto Cernigliano e Giacomo Imbugiali, presentarono una supplica al re Pietro II d’Aragona perché concedesse alla città di Salemi il diritto di avere una fiera in onore del Santo Patrono.
La supplica fu accolta e con un regio diploma, emesso a Catania il 20 Aprile 1341 e ricevuto dal giurato Enrico Vesco, il re aragonese concesse a Salemi di poter usufruire di una fiera-mercato della durata di 15 giorni da ripartirsi in due periodi di sette giorni ciascuno prima e dopo la festa del 6 Dicembre.
Inoltre prescrisse che la fiera fosse immune dal vincolo di dogana. Tale diploma si è conservato fino ad oggi e si trova nel “Libro Rosso” della città che contiene tutti i privilegi di Salemi.
Parte delle somme ricavate in detta fiera veniva devoluta per i festeggiamenti in onore di S. Nicola. Successivamente i giorni della fiera furono ridotti a tre e differiti da Dicembre a Maggio; questa fiera in onore del Santo si tiene ancora ai nostri giorni.
La fiera di maggio di Salemi era, fino agli anni 50, una delle più importanti nel territorio trapanese, soprattutto per la compravendita di animali.
Ormai, con la trasformazione dei lavori agricoli e con i mercatini settimanali, la fiera ha perduto la sua primitiva importanza come del resto tutte quelle delle sagre paesane.

Giorni Liturgici e Processioni: Un documento del Papa Pio VII del 13 Agosto 1800, su istanza del Vescovo Mons. Orazio la Torre, concedeva alla città di Salemi, tre giorni all’anno per celebrare il suo Patrono: il 6 Dicembre, festa liturgica del Santo, il 9 Maggio in cui si ricordava la traslazione delle reliquie da Mira a Bari e l’ultima domenica di Maggio nel ricordo del patrocino di S. Nicola sulla città di Salemi.
Oggi rimane solo la ricorrenza del 6 Dicembre, giorno di festa del Patrono, essendo all’interno della novena a Maria S.S. Immacolata, al Santo Patrono vengono dedicati solo i primi vespri e il giorno 6 dicembre. Dal 1944 per un decennio, il simulacro di S. Nicola veniva portato in processione assieme all’Immacolata l’8 dicembre e nel 1965 si ripristino la processione del 6 dicembre.
Nella messa dei primi vespri vengono benedetti i pani e l’olio e distribuiti alla gente. Il giorno della festa viene annunciato dal suono delle campane e dei mortaretti che propagano il loro suono in tutto il cielo del paese. Vengono celebrate in ogni ora le messe e nella serata viene portata in processione la statua del Santo per le vie principali della città, la festa si conclude con uno sparo di giochi pirotecnici.
Per volontà  dell’attuale Arciprete Don Salvatore Cipri, l’anno scorso si è ricordato un secondo momento tradizionale verso il nostro Patrono Nicola; nell’ultima domenica di Maggio, in ricordo del patrocinio, per tre giorni si è festeggiato il santo, con teatri della sua vita itineranti per le vie della città, la processione della “sceusa” che è un’ antica usanza che i salemitani osavano fare ogni anno nel giorno dell’Ascensione, portando la statua del Santo alle 5 porte della città (porta Gibli, porta dell’Aquila, porta S. Maria, porta Guercia, porta Corleone) in ricordo della sua protezione, essa rimane presente e ancorata fino alla fine del 800, poi si perse nella memoria, e nell’anno 2007 il neo Arciprete volle rilanciare questo momento di tradizione il quale sarà ripetuto in un futuro migliore per i costi che necessita.
Dopo il terremoto del 1968, per circa un decennio, i due simulacri di S. Nicola e dell’Immacolata, ogni anno il 25 Gennaio, su automezzi venivano portati in processione nel rione Cappuccini.
Nel 1987 in occasione del IX centenario della traslazione delle reliquie del Santo, Salemi, per volontà del rappresentate dell’Arciprete Ignazio Ardagna, Don Giuseppe Maniscalco e del presidente del comitato di S. Nicola, Giuseppe Arbola, ha ricordato l’avvenimento con una solenne liturgia di S. Giovanni Crisostomo in rito Greco-Bizantino il 9 maggio, officiata dal Vescovo dell’eparchia di Piana degli Albanesi e con una solenne processione per le vie della città.
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L' ARTE E S. NICOLA A SALEMI


L’Antico Stemma: L’effigie di S. Nicola, con paramenti di rito orientale, fu inserita nello stemmo araldico della città e in un gonfalone, su campo azzurro.
Questo stemma fu simbolo di Salemi fino al’8 maggio 1930. Un decreto di Mussolini, del 9 maggio 1930, dopo 640 anni sostituì l’effigie del santo con un’aquila ad ali spiegate ricamata in oro su campo giallo con sul petto il castello aliciano.

Croce Astile: Uno degli oggetti sacri più antichi, in cui è effigiato il santo, è senza dubbio la pregevole croce astile in lamina d’argento cesellato, nel cui centro si trova un piccolo pannello riproducente le glorie del santo.
L’autore della preziosa opera è Giovanni De Cioni e risale al 1386, questa croce fino agli anni '40 era posta sull’altare maggiore dell’antica matrice, poi si conservò nel tesoro, dal 1968 si trova nel Museo Diocesano di Mazara.

Icona di S. Nicola: Tra i dipinti il più antico è un'antica immagine del santo regalata dal francescano dei minori osservanti, P. Ignazio da Salemi, all’Arciprete Can. Vito Ansaldi nel 1832 e da questi donata all’altare del santo come voto per essere stato guarito da un disturbo alla vista.
Questa immagine antichissima proviene dal convento di S. Antonino di Palermo ed è incastonata in una cornice dorata sormontata dallo stemma di S. Nicola. Adesso è conservata presso il Museo degli Argenti della Chiesa Madre.
 
La Tela della Chiesa della Concezione: Questa tela è dell’artista Fra Felice da Sambuca, metà del 1700. Raffigura S. Antonino, S. Nicola che lo indica come nel dire “Ascoltatelo” e S. Francesco che si prostra a S. Nicola, in un secondo piano è raffigurato S. Felice da Cantelice.



La Tela della Chiesa di S. Biagio: Non conosciamo l’autore, si ispira ad un avvenimento del 1626 in cui S. Biagio fu proclamato compatrono della città. La tela rappresenta i due santi che implorano la protezione della Vergine. L’opera risale ai primi del 1700, poiché in fondo è raffigurato il panorama di Salemi visto dal convento dei PP. Riformati, e viene riprodotta la Chiesa del Collegio che appunto risale in questo periodo.

La Tela nella Chiesa dei PP. Cappuccini: Opera forse del pittore Fedele da San Biagio, riporta una visione che un religioso cappuccino di Monte S. Giuliano ebbe in tre notti di seguito, tre mesi prima della spaventosa voragine apertasi alle ore 4.30 della notte del 6 Marzo 1740 sul Monte delle Rose che distrusse due conventi. Il quadro riproduce l’intercessione di S. Nicola, S. Biagio, S. Francesco e la Vergine Maria.

Le Tele dell'Altare di S. Nicola: Nell'antica Madrice l'altare del Patrono accoglieva nelle pareti laterali due tele di media grandezza ad opera dell'artista salemitano Ignazio Di Miceli e risalenti al XVIII sec. (oggi conservate nell'attuale Chiesa Madre nelle pareti frontali del transetto).
Una raffigura il famoso miracolo in cui Santo risuscitò i tre bambini uccisi, l'altra invece raffigura il Patrocinio del Santo sulla città di Salemi.

Esistevano altri quadri di S. Nicola ma la furia del tempo e spesso l’incuria dell’uomo li hanno distruttti.

La Statua Processionale: Nel 1854 un’epidemia colpì la sicilia occidentale, Salemi chiese aiuto al suo santo Patrono e la città resto immune dal male e come voto la città volle acquistare una statua lignea a Napoli.
Malgrado le pessime condizioni di tempo, miracolosamente, giunse a Trapani e poi a Salemi il 5 dicembre del 1855, nella vigilia della sua festa. L’entusiasmo fu grande e all’indomani una processione si snodò per le vie della città.
Questa statua venne posta in una nicchia della sacrestia dell’antico Duomo, dopo il sisma, grazie al coraggio di alcuni giovani che non ebbero paura delle scosse, si introdussero nel Duomo e portarono in salvo questa statua, adesso è collocata nell’attuale Matrice.
Non conosciamo l’autore, si pensa che proviene dalla scuola di Giuseppe Sammartino, in epoca dell' 800. Questa rimane una delle statue più belle che la città di Salemi possiede.

La Statua dell’Antica Chiesa Madre: Questa è la statua più antica di S. Nicola, presente a Salemi. Dovrebbe risalire alla seconda metà del XIV sec. Ancora oggi, dopo la distruzione del Madrice, questa statua rimane nella sua cappella ma senza nessuna protezione e cura. L’amministratore Don Giuseppe Maniscalco, negli anni '80, espresse il desiderio di portare questa statua nell’attuale chiesa madre ma il suo progetto non venne accolto.
La statua raffigura il santo seduto in cattedra e benedicente con la mano destra, l’opera presenta dei ritocchi fatti nel XVI sec, dopo il fallimento dell’unificazione tra la chiesa Greca e quella romana. In origine la statua aveva paludamenti in stile greco - bizantino.

La Statua del Pennino: Questa è posta nella Piazza Liberta, ad opera dello scultore Gaetano Pennino. Nel 1795 venne posta al centro della piazza come voto dei salemitani per essere stati salvati dal santo, nel terremoto del 1794.
Lo scultore rappresenta il santo nel momento di proteggere Salemi sotto il suo Piviale mentre, con la mano sinistra, protesa, tende a tenere lontani i mali. Oggi questa statua è situata nel lato della piazza.

Statua del palazzo senatorio: L’opera risale alla fine del '400, è di piccole dimensioni, fino ai primi del 900 era posta in una nicchia sulla porta del palazzo comunale. Dopo i lavori di ristrutturazione e di ampliamento dell’edificio fu spostata nel giardino del castello, dopo il sisma del 1968 fu rimossa e collocata nel Museo d’Arte Sacra.

Statua del carcere: Bassorilievo risalente forse al XV sec. o primi del XVI sec. Inizialmente doveva essere situata nella chiesa di S. Stefano, prima del 1960 era situata nella facciata del carcere adiacente il castello. Raffigura il santo benedicente con la mano destra e con la sinistra tiene il pastorale e il vangelo, sulla pianeta che indossa è raffigurata lo stemma aragonese. Dopo il terremoto venne conservata nella Chiesa della Concezione e in seguito al Museo.


Statua Lignea di S. Nicola: piccola statua lignea del Santo ricoperta di una lamina dorata, del XVIII sec., conservata nell'attuale Chiesa Madre. Il santo indossa il piviale, tiene con la mano sinistra il vangelo e con la destra benedice.  Anticamente veniva posta sul tavolo delle offerte in occasione della festa del Santo.
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PREGHIERE A S. NICOLA

Coronella di S. Nicola di Bari

In Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Domine labia mea aperies, et os meum annuntiabit laudem tuam.
Deus in adjutorium meum intende, Domine ad adjuvantum me festina.Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto sicut erat in principio, et nunc, et simper et in secula seculorum. Amen

Con la prima preghiera si domanda la virtù della Astinenza.
San Nicola, che bambino nelle fasce digiunaste, che la carne, latte e vino poi cresciuto mai gustaste. Ottenete a me meschino l’astinenza che osservaste.
Pater, Ave e Gloria

Con la seconda preghiera si domanda la virtù della Purità
San Nicola fior vermiglio, che fa puro, e grato odore che apparisce bianco giglio dell’angelico candore. Deh! Mi salva dall’artiglio dell’impuro tentatore.

Pater, Ave e Gloria
Con la terza preghiera si domanda la virtù dell’UmiltàSan Nicola, che imitaste l’umiltà del Redentore onde in cielo meritaste trono eccelso e sommo onore. L’umiltà, che praticaste deh! Imprimete in questo cuore.
Pater, Ave e Gloria

Con la quarta preghiera si domanda la virtù della Penitenza
San Nicola gran portento della santa penitenza, che abbellisti col tormento del tuo corpo l’innocenza. Fa, ch’io almeno col pentimento da Dio impetri la clemenza.
Pater, Ave e Gloria

Con la quinta preghiera si domanda la virtù della Pazienza
San Nicola paziente che in esilio, ed in catene tollerasti lungamente gran martiri, acerbe pene, fate pur, che sofferente fossi anch’io pel sommo bene.
Pater, Ave e Gloria

Con la sesta preghiera si domanda la virtù della PerseveranzaSan Nicola da Dio eletto che, con gran perseveranza divenisti uomo perfetto, vera norma di costanza. Rassodate nel mio petto fede, amor e la speranza.
Pater, Ave e Gloria

Con la settima preghiera si domanda la virtù della Obbedienza
San Nicola obbediente, che al comando del Signore assumeste immantinente il gran peso di pastore. Tale virtù nella mia mente deh! Infondete, nel mio cuore.
Pater, Ave e Gloria

Con l’ottava preghiera si domanda la virtù dell’Orazione
San Nicola appena nato dimoraste in piè due ore contemplando qual Beato il supremo Creatore. Un tal dono, o mio Avvocato deh! M’impetra dal Signore.
Pater, Ave e Gloria

Con la nona preghiera si domanda la virtù della Carità
San Nicola serafino d’infiammante carità. In cui trova ogni meschino un gran fonte di bontà. Fa ch’io ottenga amor Divino ora e nell’eternità.
Pater, Ave e Gloria

Offerta
O santissimo Nicola il cui nome il cuor consola; zelantissimo pastore, vero servo del Signore. Nostra scorta ed avvocato, destruttor d’ogni peccato, protettor dei poverelli, padre ancor degli orfanelli. Difensor degl’innocenti, avvocato a penitenti, delle vergini custode che la salva d’ogni frode. Degli aflitti gran conforto, delle navi guida e porto, della morte vincitore, dell’inferno gran terrore.
Deh! Benigno a noi volgete gli occhi vostri e proteggete dai nemici e mali estremi la cittade di Salemi; giacchè Dio v’ha destinato suo Patrono ed Avvocato. Pestilenze, fame e guerre lungi sian da queste terre. Da tempeste e terremoti liberate noi devoti che imploriamo il vostro aiuto offerendovi in tributo l’alme nostre, i sensi, i cuori.
Già pentiti dagli errori impetrate ai falli miei il perdono e a tutti i rei. Concedete a penitenti gran fervor che non rallenti, ottenete ancor a giusti che di palme sien onusti.
Assisteteci alla morte e impretate a noi la sorte di venir tra gioie e riso a godere in Paradiso. Amen

Oratio
Deus qui Beatum Nicolaum gloriosum confesso rum tuum, atque pontificem innumeris decorasti, et quotidie non cessas illustrare miraculis, et a periculis omnibus liberemur.
Per Christum Dominum nostrum. Amen

Novena che si celebra a Bari da adattare per Salemi

29 Aprile O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché con l’aiuto del tuo patrocinio, possiamo degnamente cominciare questa sacra novena.
La città di Myra, come tante altre città, era stata presa dai Saraceni e messa a ferro e a fuoco. Gli abitanti si erano dispersi sui monti vicini. Il tuo corpo era rimasto in un luogo ove ormai i pellegrinaggi erano rischiosi. Così tu suscitasti nel popolo di Bari pii sentimenti, forza e coraggio per compiere l’impresa che ti avrebbe condotto qui, lasciando quel luogo ormai desolato.
Fa’ che anche noi possiamo sentire ancora la tua voce, come l’udirono allora i Baresi. Fa’ che animati da quella stessa forza a da quello stesso coraggio di cui essi furono animati, nei momenti difficili non ci perdiamo d’animo, ma conserviamo sempre la fiducia nel Signore nostro Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

30 Aprile O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché, con il tuo aiuto, possiamo degnamente rivivere quella venerazione che i Baresi, nove secoli fa, nutrirono verso le tue reliquie.
Tu concedesti agli antichi abitanti della nostra città ciò che avevi negato a dei sovrani, quale l’imperatore Basilio. Ti facesti prelevare da essi, mentre avevi duramente punito il generale saraceno Khumid, che, avendo voluto violare la tua tomba, vide la sua flotta andare in rovina per un naufragio.
Le tue reliquie sono state sempre ambite. Ed ancora oggi, quanti sono quelli che le richiedono offrendo ingenti somme! Tutto il mondo guarda a Bari perché conserva le tue ossa. Fa’ che noi siamo degni di questo tuo grande dono, e che la presenza dei tuoi resti mortali ci ispiri quello stesso amore per il prossimo che animò te in vita, secondo il comandamento di nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

1 Maggio O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché, aiutati dalla tua grazia, riviviamo il modo in cui i Baresi seppero vivificare di spirito religioso le loro preoccupazioni terrene.
Essi partirono con tre navi cariche di frumento, diretti ad Antiochia, la città ove per la prima volta i seguaci di Gesù furono chiamati cristiani, ma che si trovava sotto il dominio dei Saraceni. I 62 marinai, i cui corpi furono poi sepolti lungo le mura di questa Basilica, erano uomini decisi a tutto ed entusiasti di compiere un’impresa che avrebbe dato lustro alla città e conforto ai tanti pellegrini provenienti da tutto il mondo.
Fa’, o Santo nostro Patrono, che anche la nostra vita sia sempre permeata dall’entusiasmo, dalla gioia di poter essere utili al nostro prossimo, superando ogni paura e ogni egoismo, ben sapendo che ogni conquista richiede sacrifici. Fa’ che non rimaniamo indifferenti al nostro prossimo, ma sappiamo discernere in coloro che ci sono vicini l’immagine stessa del nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

2 Maggio O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché tutti i sacerdoti che hanno a cuore il tuo culto, e specialmente i Padri che custodiscono le tue reliquie, siano mossi dallo stesso spirito che ebbero i due sacerdoti animatori religiosi della spedizione.
Sulla via del ritorno da Antiochia, verso il mezzogiorno del 20 aprile, le navi baresi si fermarono al porto di Andriaco, a qualche chilometro da Myra. Un manipolo di coraggiosi entrò nella tua chiesa, legando i quattro monaci che custodivano le tue ossa. Poi Matteo, il più audace di tutti, con una spranga spezzò la tua tomba, da cui cominciò ad uscire il soave profumo della tua santa manna.
I sacerdoti Lupo e Grimoaldo intonarono inni e canti accompagnando le tue reliquie al porto. Quale ridondanza di gioia e beatitudine dovette afferrare i loro animi! Se fu l’intraprendenza e la decisione dei Baresi a contribuire al successo dell’impresa, certamente fu anche la tua mano a impedire ai Myresi di bloccarli e ai Saraceni di trovarsi sul posto.
Fa’, o Santo Patrono, che tutti i sacerdoti di questa città sappiano essere, come già Lupo e Grimoaldo, gli animatori che ci aiutino a vivere con maggiore entusiasmo la nostra fede in Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

3 Maggio O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché, con l’aiuto del tuo patrocinio, possiamo passare dalle tempeste che incontriamo nella nostra vita alla serenità che deriva dall’aver incontrato te.
I marinai partirono da Andriaco il 20 aprile, ma ben presto si levò un forte vento che sconvolse le acque. Per qualche giorno i tre vascelli non fecero grandi progressi. Alcuni di essi, spinti da una male intesa devozione, avevano sottratto parte delle tue reliquie. Ma tu, o grande Taumaturgo, non permettesti che le tue ossa fossero sparse e divise, per cui solo dopo che tutti ebbero riposte le reliquie trafugate fermasti i venti e calmasti le acque. Facesti così riprendere a vele spiegate quel viaggio meraviglioso verso la città di Bari.
Fa’, o grande Patrono, che anche le nostre preghiere siano ascoltate nelle tempeste della vita come ascolti quelle dei marinai, di cui sei speciale protettore. E fa’ che sappiamo cogliere nel dono delle tue reliquie non soltanto un fatto cittadino, ma un messaggio di carità rivolto a tutti gli uomini di buona volontà. Ti preghiamo affinché tutti, per tua intercessione, accogliamo sempre più nel nostro cuore Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

4 Maggio O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché, aiutati dal tuo patrocinio, riviviamo nel nostro spirito quella stessa gioia ed esultanza cristiana che riempì il popolo di Bari all’arrivo del tuo corpo miracoloso.
Quella domenica del 9 maggio 1087 si era sparsa la voce che le navi baresi erano ancorate nel porto di S.Giorgio. Quanti allora presero le loro piccole imbarcazioni ed accorsero là per fare da corteo alla tua entrata in città! Fu così che li videro arrivare gli abitanti di Bari. Già prima di toccare terra un marinaio a gran voce diede il lieto annuncio, e quasi contemporaneamente un araldo percorreva le vie della città.
Fa’ che anche noi sappiamo apprezzare questo privilegio che ci hai accordato e siamo riempiti di quella gioia cristiana che riempì il cuore dei marinai al termine dell’impresa, quella stessa gioia degli spettatori festanti che ti accolsero al porto e tutti coloro che nelle loro case ascoltarono il grido dell’araldo. Fa’, o glorioso San Nicola, che, non solo noi, ma tutti coloro che vengono a venerare le tue reliquie riacquistino serenità e gioia di vivere, ricordando anche che le sofferenze ci fanno rassomigliare maggiormente al nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

5 Maggio O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché, nel ricordo dell’opera dell’abate Elia acquistiamo anche noi uno spirito pacificatore.
Non avevano ancora portato il tuo corpo sulla terra ferma che già nacquero dissensi sia tra il clero che tra la popolazione. I marinai volevano costruire in tuo onore una nuova chiesa, mentre alcuni tra il popolo volevano che le tue reliquie fossero riposte nella Cattedrale. Tu ispirasti i marinai a riporre la loro fiducia nell’abate Elia, il quale trasferì il tuo corpo nella sua chiesa. Tuttavia le guardie dell’Arcivescovo Ursone tentarono di rapirti provocando la morte di due giovani. Ma tu non permettesti che il pastore della Chiesa di Bari si ostinasse nel suo proposito e facesti vincere la carità al punto da spingerlo a concedere ad Elia la Corte del Catepano e, d’accordo coi marinai e i principi normanni, ad affidargli i lavori per costruirti un tempio.
Anche in mezzo a noi, o Santo glorioso, nascono discordie e violenze, spesso anche noi non siamo animati da propositi santi, ma da progetti di prestigio personale e di dominio. Fa’ però che alla fine trionfi il bene e la concordia che sono il segno visibile della presenza in mezzo a noi di nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

6 Maggio O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché anche noi quando ci troviamo dinanzi alle tue reliquie siamo animati dalla stessa intensità di preghiera che animò tanti vescovi, santi e pellegrini di ogni parte del mondo.
Era appena terminata la costruzione della cripta che l’allora principe di Bari, Boemondo, il futuro conquistatore di Antiochia, si recò a Melfi ad invitare il papa Urbano II. Il Vescovo di Roma accolse di buon grado l’invito e il 30 settembre del 1089 con grande partecipazione di popolo consacrò l’altare della cripta riponendovi le tue preziose ossa. In quella occasione istituì la festa liturgica della Traslazione delle tue reliquie, festa sentita e celebrata da molti popoli ortodossi e specialmente dai Russi.
Dalle città circonvicine vennero a visitarti i vescovi Ernulfo di Bitonto, Guidone di Oria, Leone di conversano e altri. Tanti pellegrini, prima di prendere il mare per l’Oriente e i luoghi santi, vennero a renderti omaggio, parte eletta di quei milioni di pellegrini che hanno voluto venire a confidarti le loro gioie e i loro dolori.
Fa’ partecipare anche noi, Santo Padre Nicola, ai frutti di questa ininterrotta devozione, affinché la tua intercessione ci aiuti a ottenere la salvezza che viene dal nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

7 Maggio O glorioso San Nicola, eccoci devotamente raccolti dinanzi a te ad implorare la tua potente intercessione presso Dio, affinché, nel ricordo del Concilio di Bari che si tenne nella tua cripta, sentiamo anche noi il male della divisione che esiste fra i cristiani e preghiamo per la ricostituzione dell’unità.
A nove anni dalla consacrazione del tuo altare ecco che nella cripta si tenne un concilio a cui parteciparono il papa Urbano II, il grande teologo e filosofo S.Anselmo di Aosta, vescovo di Caterbury, oltre che tanti vescovi sia latini che greci. La frattura fra le due Chiese si era aggravata da qualche decennio e, a causa di tanta incomprensione ed insensibilità, era destinata ad aggravarsi ancor più. Se quel concilio non ebbe gli effetti desiderati non fu per la mancanza del tuo aiuto, ma per la durezza del cuore degli uomini. Nel corso dei secoli, nonostante lo scisma, i nostri fratelli ortodossi non hanno mai smesso di venire a Bari a venerarti. In te, Taumaturgo universale, non si sono riflesse quelle divisioni che tanto hanno lacerato la Chiesa di Cristo. Oltre che simbolo di questa unità profonda, o Santo Padre Nicola, sii anche il protettore delle iniziative ecumeniche. Fa’ che l’ecumenismo cresca e si diffonda tra i cristiani, affinché tutti seguano il Cristo più coerenti con la fede che egli ci ha trasmesso e che, per tua intercessione, tutti possiamo raggiungere l’unità e la salvezza, nel nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

Preghiere Greche
Dal Vespro solenne

Stichirà idiomela.
Tono II.

O santo vescovo Nicola, Cristo Dio ha voluto presentarti al tuo gregge quale regola di fede e immagine di mitezza. Infatti, ungendo di manna i Miresi, risplendi fulgido nella rettitudine delle tue divine azioni, o protettore degli orfani e delle vedove. Ti chiediamo perciò di non cessare di intercedere per la salvezza delle nostre anime.
Amen.

Apolitikion.
Tono IV.

Non a parole, ma nella verità dei fatti, sei apparso al tuo gregge quale regola di fede e immagine di mitezza, maestro di continenza. Ed invero con l’umiltà hai raggiunto le vette più eccelse, con la povertà la ricchezza.
O padre e santo vescovo Nicola, prega Cristo Dio affinché porti le nostre anime alla salvezza.
Amen.

Antifona

Regola di fede,
icona di mitezza,
maestro di temperanza,
la testimonianza della tua vita
ti ha manifestato al tuo gregge.
Per questo, umiliandoti,
sei stato esaltato,
e facendoti povero,
hai ottenuto ricchezza.
O grande Pastore, Padre Nicola,
intercedi per la salvezza delle nostre anime
presso Cristo che è Dio.

PREGHIERA DELLO STUDENTE

O glorioso e santo vescovo di Cristo, Nicola, al quale tante generazioni di scolari, studenti e professori si sono rivolte per ottenere assistenza nello studio, volgi il tuo sguardo anche su di me. Tu che, al loro nascere, fosti invocato quale protettore delle università, guarda propizio al mio sforzo e concedi che i miei studi ottengano i frutti desiderati. Intercedi, inoltre, presso il Signore, che è Luce e Sapienza, affinché effonda su di me una parte della sua luce e, aiutandomi a comprendere meglio me stesso, attraverso lo studio e la ricerca mi faccia anche approfondire quelle realtà che sono un’impronta visibile nel mondo della speranza del Padre creatore, del Figlio redentore e dello Spirito Santo che dona vita e santità. Te lo chiedo per Cristo nostro Signore. Amen.


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S. BIAGIO vescovo e martire
eletto COMPATRONO nel 1542

Biografia del Santo


San Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate (oppure con l’unzione, mediante olio benedetto), sempre invocando la sua intercessione.
L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola. Vescovo, governava, si ritiene, la comunità di Sebaste d’Armenia quando nell’Impero romano si concede la libertà di culto ai cristiani: nel 313, sotto Costantino e Licinio, entrambi “Augusti”, cioè imperatori. Licinio governa l’Oriente, e perciò ha tra i suoi sudditi anche Biagio. Il quale però muore martire intorno all’anno 316, ossia dopo la fine delle persecuzioni.
Perché?Non c’è modo di far luce. Il fatto sembra dovuto al dissidio scoppiato tra i due imperatori-cognati nel 314, e proseguito con brevi tregue e nuove lotte fino al 325, quando Costantino farà strangolare Licinio a Tessalonica (Salonicco). Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione locale – forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo – con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi, tra cui Basilio di Amasea, nella regione del Mar Nero. Per Biagio i racconti tradizionali, seguendo modelli frequenti in queste opere, che vogliono soprattutto stimolare la pietà e la devozione dei cristiani, sono ricchi di vicende prodigiose, ma allo stesso tempo incontrollabili.
Il corpo di Biagio è stato deposto nella sua cattedrale di Sebaste; ma nel 732 una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma. Una improvvisa tempesta tronca però il loro viaggio a Maratea (Potenza): e qui i fedeli accolgono le reliquie del santo in una chiesetta, che poi diventerà l’attuale basilica, sull’altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la grande statua del Redentore, alta 21 metri.


S. Biagio e Salemi


Il 03 febbraio di ogni anno i salemitani, in onore della festività di S. Biagio, si recano nell’omonima chiesa, situata nell’antico quartiere del Rabato (un tempo svolgeva funzione di filiale alla parrocchia Chiesa Madre proprio per la sua dedicazione al santo compatrono della città).
Per rendergli omaggio o per sciogliere il voto, preparano dei tradizionali pani, fatti di pasta non lievitata e cotti al forno. In occasione della manifestazione tutto il pavimento della chiesa è coperto di foglie d'alloro e la tribuna, dove è posta la statua del santo, è adornata con alloro, mirto e fori.
Questi piccoli pani vengono chiamati rispettivamente: “cuddureddi” e “cavadduzzi”: i primi perché simboleggiano la gola di cui San Biagio è protettore e vengono mangiati per devozione, infatti il santo salvò la vita di un ragazzo che stava morendo soffocato da una lisca di pesce; con i cavaduzzi invece si vuole ricordare un avvenimento accaduto durante il regno di Carlo V nel 1542, quando per intercessione del Santo, le campagne salemitane furono liberate da un invasione di sciami di cavallette che distrussero il raccolto e per quell’evento venne eletto compatrono della città di Salemi.


I “cavadduzzi” assumono le forme più diverse e fantasiose: dai cavallucci marini ad altri animaletti immaginari, dal braccio e dalla mano benedicente del Santo, a quella di bastone decorato su un lato con fiori simbolo della fertilità.
I pani della festa di San Biagio sembrano un preludio anticipatorio della "Cena di San Giuseppe", che si celebra a Salemi il 19 marzo.



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